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Dicono di noiFondo Pensione Agenti, la spada di Damocle della prestazione definita

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Dopo il periodo di commissariamento e l’approvazione del piano di risanamento da parte di Covip, il Fondo Pensione Agenti è tornato all’amministrazione ordinaria (ne diamo conto in un articolo precedente), ma il dibattito tra chi sostiene sia stato messo in sicurezza e chi ritiene che tale sicurezza non sia definitiva non si è spento. Anzi. Per capirci qualcosa di più e fare chiarezza abbiamo incontrato il prof. Claudio Cacciamani(nella foto), Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università di Parma, commercialista e revisore contabile, consulente tecnico del Tribunale di Milano, studioso e consulente in materia di fondi previdenziali complementari, al quale abbiamo rivolto alcune domande.


Prof. Cacciamani, il Fondo Pensione Agenti è stato commissariato per un lungo periodo, il massimo concesso dalla Legge. Il disavanzo accertato e più volte citato da varie fonti è stato, dai più, indicato come “prospettico”. Che cosa significa?


Volendo essere semplici, Covip, prima, e il Commissario, poi, valutando secondo quanto stabilito dalla normativa di settore a “gruppo chiuso”, i contributi versati da ogni aderente e le prestazioni promesse in virtù del principio della “prestazione definita”, hanno rilevato come si siano progressivamente originate pensioni di beneficiari superiori al valore dei corrispondenti contributi versati, con l’effetto di premiare le prestazioni attribuite agli iscritti di più remota adesione a scapito di quelli iscritti da meno tempo. In sostanza, il perdurare di un meccanismo di questo tipo senza correzioni di sorta avrebbe portato “in prospettiva” il Fondo a non essere in grado di erogare le prestazioni promesse al complesso della popolazione iscritta.


L’intervento del Commissario e il piano approvato dalla Covip hanno messo il Fondo in sicurezza? Definitivamente?


Senza una modifica sostanziale del Regolamento e con il mantenimento della prestazione definita, nonostante i tagli “personalizzati” alle prestazioni degli aderenti in erogazione e a quelle promesse non si può parlare di sicurezza “definitiva”. Infatti, occorre considerare che, nonostante l’applicazione di un criterio di “ri-proporzionamento” delle prestazioni ai contributi effettivamente versati da ogni aderente, il piano di riequilibrio approvato da Covip si fonda su calcoli attuariali che costituiscono basati comunque su ipotesi e su variabili condizionanti quali quelle demografiche. Il numero degli agenti attivi e la speranza di vita, l’uno in diminuzione e l’altra in aumento, avranno un peso influente sulla salute del Fondo che andrà monitorato frequentemente. Per questo motivo, il piano di riequilibrio non può essere considerato definitivo, ma va, oltre che attuato, tenuto sotto controllo periodicamente.


Veniamo ai bilanci. Già ancora anni prima del commissariamento e dei recenti articoli di stampa lei aveva espresso perplessità sulla gesione. Quanto accaduto, in particolare, per lei non deve essere stato quello che si dice “un fulmine a ciel sereno”.


Non ho avuto modo di leggere la nutrita relazione di 75 pagine dello staff del Commissario a cui ha fatto riferimento Il Sole 24 Ore” (cfr., tra gli altri, “Quella gestione «allegra» di Agenim”, di Federica Pezzatti, Il Sole 24 Ore, 17.11.2016 – ndIMC), ma aldilà delle spese prive di giustificativi o apparentemente estranee al Fondo sostenute dagli amministratori, ho fatto notare, appena visionai il bilancio del 2013, il forte investimento del capitale del fondo (circa il 10%) in immobili e, in particolare, concentrando il rischio in un asset particolare, quale le “caserme”. Inoltre va sottolineato che il tasso di attualizzazione del 3,5% annuo relativo alle riserve tecniche del patrimonio risultante dal bilancio economico 2014, ipotizzato dal commissario nel piano, è comunque “sfidante”, dato il livello attuale e prospettico dei tassi di interesse e il rischio di nuove svalutazioni. Se il tasso non dovesse essere raggiunto, il Fondo andrebbe incontro a risultati economici sicuramente non positivi.


I costi di gestione oggi sono pari a circa lo 0,35% del patrimonio. Si tratta di costi sostenibili?


Rispetto alla media di costi di gestione di fondi pensione similari, i costi sono superiori – e probabilmente non più sostenibili dal Fondo – e destinati ad aumentare in assenza di economie strutturali. Fin dal 2013, il bilancio esaminato al momento del rilievo del disavanzo prospettico, è apparso che le spese complessive del Fondo ammontavano complessivamente a circa 3 milioni di Euro annui tra stipendi del personale dipendente, consulenze, compensi e funzionamento degli organi collegiali, affitto e pulizia dei locali della sede, ecc. con un’incidenza rispetto alle masse gestite e alle pensioni erogate superiore alla media.


Esiste il rischio reale che tra qualche anno possa ripresentarsi il disavanzo prospettico?


Il disavanzo prospettico innanzitutto non va confuso con l’utile di bilancio. Il rischio che si ripresenti permane indipendentemente dall’andamento del bilancio stesso. Se il Fondo registra un avanzo di 30-35 milioni di euro nella gestione ordinaria, ciò non significa che da un punto di vista attuariale non si possa verificare nuovamente uno squilibrio tra contributi e prestazioni, laddove quest’ultime non siano parametrate ai primi o il numero delle fuoriuscite dal Fondo dovesse superare il 30% ipotizzato nel piano. In questa ipotesi, sia gli amministratori sia i sindaci sia la Covip dovrebbero intervenire di nuovo, ognuno con gli strumenti messi a loro a disposizione dalla legge e dai regolamenti.


In caso di liquidazione quali potrebbero essere i criteri di liquidazione applicabili?


Il commissario liquidatore dovrebbe applicare il diritto di prelazione dei pensionati e dei superstiti e, solo dopo aver liquidato loro il capitale risultante dalla conversione della rendita, liquidare gli aderenti attivi fino a esaurimento del patrimonio, col serio rischio che molti agenti, soprattutto quelli più lontani dall’età di quiescenza, subiscano forti decurtazioni o, addirittura non ricevano nulla. Purtroppo questi casi sono già avvenuti in passato per altri Fondi (Comit, Cassa IBI, Cassa di Risparmio di Firenze, ecc.) per i quali sussiste un ancora oggi un contenzioso giuridico nelle aule dei Tribunali.


Si sta avvicinando la scadenza del versamento della prossima annualità. Cosa consiglia di fare a un aderente al Fondo?


Gli attuali Organi Amministrativi e di Controllo hanno oggettivamente e giuridicamente le stesse funzioni di quelli precedenti al Commissariamento. A mio parere, un aderente può ritenersi tutelato solo nel momento in cui vi sia una forte discontinuità rispetto al passato, come avviene tipicamente all’indomani di commissariamenti di altri intermediari, come banche e compagnie di assicurazione. Tale elemento di rottura deve coinvolgere sia gli organi di amministrazione e di controllo, sia le strategie di investimento rispetto al passato, sia la verifica dell’esecuzione del piano, sia, infine, la gestione ordinaria e i costi a essa relativi. Su tutto pende come una spada di Damocle il mantenimento della prestazione definita, di cui occorrerà verificare con continuità la sostenibilità.


In conclusione: se fosse un agente aderente a Fonage, lei cosa farebbe?


In base a quanto sopra esposto sta a ogni agente, soggettivamente, valutare la scelta se continuare o meno a versare a Fonage, seppure usufruendo del contributo paritetico delle imprese, ma dando implicitamente fiducia al nuovo corso. In alternativa, ogni agente potrebbe diventare “consulente” di se stesso, valutando opportunità di una gestione professionale del proprio risparmio professionale in forme e tecniche alternative quali LTC o fondi pensione assicurativi.


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